Franca Valeri: "Dopo tanti anni di grande amicizia, è stato un regalo della carriera: è molto bello recitare con Annamaria. L’ho sempre molto amata come attrice oltre che come persona".
A metà del ‘900, Jean Genet, orfano e ribelle, vissuto fra gli ultimi della società ma sempre alla ricerca di un’elevazione intellettuale, fu protagonista di una rivoluzione culturale nel teatro e scrisse opere che nessuno prima di allora avrebbe mai creduto pensabili.
Personaggio controverso, criticato e temuto dai benpensanti ma difeso da Sartre, Cocteau, Picasso e Claudel, Genet scrisse Les Bonnes a metà degli anni ’50 ispirandosi a un fatto di cronaca. Messa in scena subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, la storia di Claire e Solange, due serve che amano e odiano Madame, la loro padrona, è ribaltata dal punto di vista in cui i piani vengono sconvolti, modificati e i personaggi trasformati, violando le attese degli spettatori. Si consuma un continuo ribaltamento fra l’essere e l’apparire, fra l’immaginario e la realtà, come scrisse Jean-Paul Sartre dell’opera.
La regia di Giuseppe Marini e le scenografie di Alessandro Chiti creano il luogo in cui Franca Valeri nel ruolo di Solange e Annamaria Guarnieri nel ruolo di Claire si accompagnano a Patrizia Zappa Mulas, che interpreta Madame. Le prime donne sono fra le più importanti protagoniste del teatro italiano del Novecento e di questo scorcio di Terzo Millennio, che le vede per la prima volta assieme sul palcoscenico tenere testa a qualsiasi confronto, rendendo appassionante la visione onirica e possente di Genet.
Per voi abbiamo intervistato in esclusiva le protagoniste eccellenti.
Franca Valeri, lei è molto nota per le sue parti da monologhista, nei film brillanti della commedia all’italiana e solo talvolta, in teatro, in ruoli seri e complessi. Cosa l’ha portata a interpretare un autore come Genet?
(F.V.) Ho recitato anche in passato altri autori. Fino all’altro ieri ho recitato ne ‘La vedova Socrate’, che era un testo mio. E siccome non si può scriverne uno tutti i giorni, devo guardare le cose degli altri. Però scelgo sempre dei testi che in un certo senso appartengano a un repertorio particolare. Ho discusso a lungo alla ricerca di un testo e volevamo fare un Beckett, ma non abbiamo avuto il permesso di farlo in femminile, così abbiamo scelto questo. Mi è stato offerto e l’ho accettato.
Al Piccolo debutta a Milano, ma sono due stagioni che è in tournée. Cambia, nel tempo, la recitazione?
(F.V.) Tutti i testi più si recitano, più si approfondiscono. E’ talmente assurdo il dialogo fra due cameriere; sono due cameriere di provincia, non c’è alcuna rivalsa della servitù sul padrone. E’ una trasposizione delle loro aspirazioni, del loro fallimento, del loro ideale, di possessività, amore, vita. Madame è un personaggio, non è una signora borghese, è uno spettro di qualche cosa di sublime e nello stesso tempo di doloroso che è in loro. Il teatro di Genet non è realistico, c’è una verità psicologica ma è al servizio di una trasposizione surreale. Esiste di sottofondo una trama, ma portata a casa da un linguaggio non realistico.
E lei cosa ne pensa, Annamaria?
(A.G.) Stravagante, fare Genet. E’ la prima volta che lo faccio e direi che non è neanche uno dei miei autori. Mi ci addentro come Alice nel Paese delle Meraviglie… ‘Alice nel Paese dei Deliri’. Una Alice invecchiata, perché le due serve, a teatro, non sono le due ragazze descritte da Genet ma due vecchie, piene di ragnatele. Si è trattato di compiere una rilettura fantasiosa, lirica. Ma è per amore che si manipolano, questi testi, è questa la loro forza, la loro potenza. Poter essere riletti da chiunque: giovani, vecchie, omosessuali, anche una rana lo può fare. Il testo di Les Bonnes è stata messo in scena da chiunque. Chiunque può entrare in scena e dire “io sono Madame”, anche un rospo.
Ma la bellezza del linguaggio, per quanto tradotto, si sente ancora?
(A.G.) In realtà rimane il fatto che esiste uno scarto curioso fra la bassezza dei personaggi e l’altezza del linguaggio. Si esprimono in un linguaggio più che elegante: è sofisticato. E’ il delirio di Genet, questo testo, composto da tanti tasselli dove i personaggi si esprimono con un linguaggio alto. Intanto si odiano e se lo dicono. Si amano e si odiano e disprezzano la padrona. Claire è una bolla di sapone, più idealista, Marini voleva da me un angelo struggente perché lei è la vittima perversa, è la più onirica, è la più strana. Non saprei se Genet si identificava più nell’una o nell’altra. Una è di pancia, una è di testa.
In che senso?
(A.G.) Solange la vedo come una roccia, una zolla di terra nera, determinata, furente. Secondo me, non credo che le due serve abbiano altre aspirazione oltre che servire, è una missione per loro e odiano Madame perché senza di lei non esisterebbero. Non saprebbero dove andare, se davvero la uccidessero. Madame è molto mitizzata, immaginata sia in positivo che in negativo. Claire la ama e Solange la odia. Potrebbe anche non entrare mai in scena, è come il campanello de ‘La signorina Julie’ che annuncia il padre, che non si vede mai. Però Patrizia Zappa Mulas è molto divertente, è interessante da ascoltare e da vedere, per come lei entra. Ha un ingresso fantastico, è alta due metri, con un abito bianco, splendente, pieno di luci. E’ la Madonna del Carmine, è buona, le confonde, le terrorizza. Quando servi, chi è buono con te si fa odiare.
Franca, è contenta della sua antagonista?
(F.V.) Dopo tanti anni di grande amicizia, è stato non dico una sorpresa ma un regalo della carriera: è molto bello recitare con lei. L’ho sempre molto amata come attrice oltre che come persona, è spiritosa, intelligente e umana e la conosco da anni. Anche lei, oltre che attrice che apprezzo molto, è una scrittrice, ha un gusto particolare e anche con Patrizia sono in ottima sintonia. Non trascurabile che siamo tre milanesi, è un incontro fortunato. Ma ho sempre scelto i compagni con oculatezza.
E lei, Annamaria?
(A.G.) Franca e io siamo amiche da sempre, da tantissimi anni. Lavorare con lei è fantastico, è unìca, mi diverte. Mi fa rabbia che non si scomponga mai, è sempre così calma e tranquilla mentre io sono ansiosa sempre, preoccupata, ma con lei mi trovo benissimo. Fa piacere ridere delle stesse cose e, quando l’ironia è compagna di viaggio, ci si trova bene. Poi lei è anche intelligentissima. Qualche volta sono felice perché la faccio ridere. Ehi, dico, far ridere Franca Valeri, non è mica da tutti!
Franca Valeri, cosa pensa di fare più in là?
(F.V.) Spero sempre di fare qualcosa di nuovo e ho delle idee. A parte il fatto che ormai abbiamo un repertorio alle spalle, anche nella speranza di poter disporre di uno spazio. Perché sa, ormai il teatro è molto penalizzato, è molto difficile recitare. Io da anni paventavo questo evento di forze avverse. Adesso, in questo momento, è una mancanza di soldi, ma poco a poco si è venuta a creare una rete di interessi. Teatro è sinonimo di libertà, cultura e fantasia e serve a regalare qualcosa alla gente. Ora è politicizzato, in un sistema che spero che crolli. Questa è una lamentela di tutti, non solo degli attori.
Cosa ne pensa, Annamaria?
(A.G.) Penso che mi piacerebbe restare disoccupata per un po’ perché mi stresso molto a lavorare. Ho paura, in scena, da sempre, se devo essere onesta e questo mi distrugge lentamente. La faccio troppo lunga e d’altra parte sono fatta così. Se voglio soffrire, soffro e basta. Ma qui siamo tre milanesi che riescono a mettere piede a Milano dopo due anni che lo spettacolo è in tournèe. Al terzo anno finalmente ci riesce d’arrivare. E’ stata dura, conquistarselo, un teatro. Non c’era spazio. Ci siamo molto seccate. Questo teatro sta andando in una maniera che non se ne può più, non sta né in cielo né in terra. Sta diventando una situazione insostenibile, come tante cose in questo Paese. Speriamo che tutto si riassesti.
Franca, avrebbe voluto mai fare qualcosa di diverso?
(F.V.) No, non ho rimpianti. Credo di aver fatto sempre quello che ho voluto.
Annamaria, da ragazzina ho visto un magnifico ‘Romeo e Giulietta’ con Giancarlo Giannini, voi due giovani e bellissimi, con la regia di Franco Zeffirelli al Teatro dell’Arte di Milano, che mi instillò l’amore per il teatro. Se lo ricorda?
(A.G.) Sì! Era veramente fantastico, senza orpelli, era bellissimo, me lo ricordo anch’io con tanto piacere perché c’era un’atmosfera libera, gioiosa. Franco Zeffirelli ci aveva scatenato e poi, dopo che muore Mercuzio, ci aveva mollati. C’è tutta la scena della cripta e lui ci ha detto “Pescate nel vero, piangete davvero”. Ecco, questa è stata la sua regia. Non gli interessava più, il finale. Ma è stato meraviglioso. Ecco, allora non ero ansiosa, ricordo, ma gioiosa. E fuori dal teatro c’era una folla di ragazzini in delirio. Bellissimo.